Cielo di giugno, azzurra giovinezza dell’anno; ed allegrezza di rondini sfreccianti in folli giri nell’aria. Ombre, ombre d’ali vedo guizzar sul bianco arroventato del muro in fronte: ombre a saetta, nere, vive al mio sguardo più dell’ali vere. Traggon dal nulla, scrivendo con nulla parole d’un linguaggio perduto; e le cancellano ratte, fuggendo via fra raggio e raggio.
Si celebra oggi “the world turtle day”, la giornata mondiale delle tartarughe.
Bellissimi animali, tra i più longevi e più antichi del mondo. Spesso assistiamo con tenerezza alla nascita di esemplari del genere “Caretta caretta” sulle nostre spiagge meridionali, calabresi e siciliane. Sono sempre stato attratto dalla loro modesta velocità nei movimenti, ma anche dalla loro furbizia. Le tartarughe sono purtroppo oggetto di commerci illegali, per cui viene sconsigliato di acquistarle e tenerle in casa.
8 marzo, festa della donna, preannuncio della primavera. È l’occasione giusta per uscire dal guscio dell’inverno, cambiare abbigliamento e lanciarsi in una serata diversa dalle solite, in compagnia di amici vecchi e nuovi, alla ricerca di un po’ di sana libertà. La routine arrugginisce i pensieri e nell’inverno appena trascorso, ancora dominato dalla pandemia del Covid, sono state ben poche le occasioni di evadere dal solito andazzo ristretto della vita quotidiana.
Tiziana e Solaria, due giovani amiche che da poco hanno superato gli “anta”, si sono date appuntamento in un locale della città per festeggiare la ricorrenza. Lì vi troveranno tante altre persone già conosciute, con cui staranno gomito a gomito a sorseggiare qualche bicchiere di buon vino. La serata è organizzata e condotta da un noto esperto enologo, ma il clou della serata sarà nelle ore finali.
La storia delle due amiche fu parallela sino ad una certa età, quando Tiziana decise di andare a convivere con Alberto, un giovane professionista del luogo, dalla cui unione nacquero due bambine, oggi di cinque e due anni. Solaria, invece, passava da una crisi sentimentale all’altra, sempre alla ricerca dell’anima gemella che ostinatamente non si faceva trovare, cosicché soffriva continuamente a causa di una delusione dopo l’altra con la speranza, sempre più labile, di imbattersi finalmente in un amore senza riserve. Già da tempo aveva deciso di andare a vivere da sola, lontano dai genitori, per avere maggiore libertà di movimento, ma non era cambiato niente.
Le aspettative delle due donne quella sera erano principalmente dirette a trascorrere una bella serata, trasgredire un po’ le regole, con la scusa dell’assaggio dei vini, e magari fare nuove conoscenze divertendosi.
L’atmosfera nel locale andava pian piano a riscaldarsi. La degustazione dei vini veniva seguita da tutti con molta attenzione, coinvolti nella individuazione delle caratteristiche organolettiche dei prodotti. Intanto il pubblico femminile più giovane cominciava a rumoreggiare sotto la spinta dei primi fumi dell’alcool, che faceva bene il suo effetto anche a piccole dosi. Risate allegre accompagnavano i vari brindisi, poi vocio alto tra una portata e l’altra, mentre i barman impettiti nella loro divisa passavano veloci tra i tavoli pronti a servire taglieri di formaggi e salumi.
Ma il clou doveva arrivare. Alla fine della degustazione un gruppetto tra le più giovani si mise ad invocare ad alta voce: ”nudo, nudo!!” Avevano lo sguardo rivolto verso una parete in fondo alla sala dove, su una larga panca, un uomo vestito con giubbetto e calzoni di pelle neri, cappello di pelle con borchie di metallo, braccialetti metallici ai polsi, occhiali scuri a specchio, guardava divertito verso il pubblico. All’improvviso il tizio, un attore del posto, sbottonò e lanciò in un angolo il giubbino, lasciando vedere un torso nudo roseo. In realtà era ricoperto da una maglietta dipinta di color carne che dava l’impressione di mostrare un torace muscoloso, tipo Tarzan. Il tripudio fra le ragazze fu forte, attratte dalla curiosità di ammirare un torso maschile vigoroso, così come fu spontaneo alzare i cellulari per scattare foto, tra gemiti di delirio.
La serata andò avanti sino a tardi tra battute ammiccanti, risate, foto ricordo e qualche altro bicchiere di vino.
Era l’una di notte quando Tiziana e Solaria decisero di lasciare la comitiva e tornare a casa. Erano entrambe alticce, odoravano di vino, allegre e con un po’ di nebbia nel cervello.
Tiziana trascorse una notte tranquilla, stanca, accanto al marito già addormentato che non si accorse del suo rientro. Prese sonno subito. Solo il giorno dopo raccontò ad Alberto come aveva trascorso la serata e quella sera, messe a dormire le bambine, non guardarono la tv. Lei aveva voglia di vedere e toccare il suo Tarzan, perciò, eccitata dal ricordo, si abbandonò perdendosi tra le braccia del compagno.
Solaria invece ebbe una notte agitata. Il finale di serata l’aveva suggestionata. Accese la tv per scovare qualche film, trovò solo pessimi programmi e siti promozionali di dubbio gusto. Lasciò perdere. Provò a dormire ma il cervello continuava a lavorare e a mandare messaggi sensuali. Le mani non stavano ferme. Decise che l’indomani si sarebbe buttata tra le braccia del primo Tarzan che avrebbe incontrato, intanto afferrò l’orsacchiotto di peluche che teneva sempre sul letto e se lo strinse forte al petto.
Uscita di casa al mattino presto, notò all’ingresso del palazzo un bell’uomo che stava seduto in una grossa auto ad aspettarla. La invitò offrendole un mazzo di rose, lei salì in macchina e via, si ritrovarono ben presto in una magnifica villa sul lago in una camera piena di specchi e tante luci, mentre il sole lentamente saliva illuminando ogni particolare nella stanza. Spensero tutte le lampade, le tapparelle quasi interamente abbassate, una lontana musica romantica in sottofondo, un valzer viennese, e poi il loro respiro. Finalmente Solaria aveva trovato il suo Tarzan!
Ma durò poco: la vibrazione della sveglia la fece sobbalzare. Erano le sette e doveva andare a lavorare. Uffa! Era stato bello sognare, ma chissà? A volte i sogni si realizzano, basta crederci!
L’alba si è fatta profumo di rose. Rosa di maggio, abbarbicata sul muro vetusto; affresco di vita corroso dagli scherni del tempo. Tappeto di petali bianchi sul selciato di dolci primavere. Fra gli agrumi imbiancati dai fiori, mano nella mano di mio padre, stretta, stretta, al richiamo del cuore di mamma, ansioso, protettivo. Diventeranno frutti copiosi, allieteranno tavole imbandite tra gli amici dell’allegria, svaniti nei rivoli del più salubre inganno. In fondo, oltre la siepe, scorgere i ceppi temprati dagli anni; offrono ancora nuova vegetazione, nuove foglie, tenere e indifese, al soffio di vento.
Quando avevi cinque anni, cosa volevi fare da grande?
Google mi ha posto questa domanda ed io, senza pensarci due volte, mi sono ricordato che a quell’età rispondevo con molta sicurezza ai miei nonni e genitori che da grande avrei voluto essere un direttore d’orchestra ed un giudice. In parte il progetto l’ho realizzato, con molte varianti (ho diretto filiali di banche anziché orchestre, mentre per il giudice lo sono stato, senza toga, nell’ambito della mia famiglia, perciò in fondo mi ritengo soddisfatto. E voi, cosa rispondevate alla stessa domanda?
Ricorrenza istituita per celebrare uno dei piatti italiani più classici, benchè di recente invenzione rispetto a tanti altri piatti tipici. La pasta alla carbonara è nata nel secondo dopoguerra, attorno al 1944, non si sa bene in quale città (Roma, Napoli, Abruzzo?) ma oggi fa parte della tradizione culinaria romana. Vi è una ricetta classica unica e poi tante varianti ma quella originale che prevede l’utilizzo di uova, pecorino romano, guanciale a strisce, un po’ di parmigiano ed un po’ di pepe nero è la più gustosa in assoluto. La pasta da usare può essere, secondo i gusti, rigatoni o spaghetti o mezze maniche. Ed ora ai fornelli!
Oggi la primavera é un vino effervescente. Spumeggia il primo verde sui grandi olmi fioriti a ciuffi: Verdi persiane squillano su rosse facciate che il chiaro allegro vento di marzo pulisce: Tutto è color di prato. Anche l’edera è illusa, la borraccina è più verde sui vecchi tronchi immemori che non hanno stagione. Scossa da un fiato immenso la città vive un giorno d’umori campestri. Ebbra la primavera corre nel sangue.
L’inverno è il periodo che ci costringe ad un lungo sonno, ci obbliga a subire il tempo meteorologico avverso, il freddo, il fastidio della neve in città (non quella in montagna), riduce le ore da trascorrere all’aria aperta, ci costringe a rannicchiarci in poltrona a leggere, spesso in solitudine. Ha i suoi lati positivi, ma la libertà sembra sacrificata, ridotta, frenata, in attesa che il tempo faccia la sua parte e il calendario faccia scorrere i giorni programmati. Ecco, l’inverno è una stagione di meditazione e di attesa.
All’opposto l’estate è la stagione in cui la luce abbaglia, i frutti sono maturi, da cogliere e gustare, c’è voglia di freschezza, di attardarsi a sera con gli amici, di cantare all’aperto, di accendere falò notturni sulla spiaggia, di esplorare nuovi territori, di fare lunghe nuotate in mare, di gustare le ferie, ma alla lunga ci si stanca.
E dopo le fatiche dell’estate arriva provvidenziale l’autunno con i suoi primi freschi, i colori accesi degli alberi, il periodo dei proponimenti. Dopo le esperienze vissute nei mesi precedenti, i contatti sociali curati nell’estate, le attività fisiche più intense, arriva il momento di fare bilanci e programmare il da farsi nei mesi successivi. L’autunno è una delle stagioni più belle ma non la più interessante.
Per me la stagione migliore resta la primavera.
Già prima del suo inizio, l’arrivo della stagione è atteso come una salvezza. Dopo il buio, il freddo, il tempo uggioso, il mare sempre in tempesta, si attende il nuovo ciclo meteorologico con grande desiderio. In effetti il ciclo biologico si rimette in moto. Tanti germogli spuntano sulle piante, foglie nuove, tante promesse di frutti appetitosi, molte piante fiorite, i sentimenti si riaccendono dopo il torpore dei mesi precedenti. Il corpo si risveglia col desiderio di conseguire nuovi obiettivi. E così la primavera si identifica con la stagione del risveglio, della voglia di vivere, del cielo terso e delle prime notti stellate. Perciò la prediligo e quindi porgo tanti auguri a chi festeggia il compleanno in questa stagione.
Oggi è la festa di tutti. Siamo tutti attori in questo grande Teatro della Vita, ed oggi possiamo riflettere sull’opportunità che abbiamo di offrire una autentica interpretazione dei nostri sentimenti, dei valori di pace che dovrebbero sempre essere attuali e non ricordati “una tantum”, dei valori di amicizia e disponibilità verso chi ci circonda, di tolleranza e pazienza verso chi non la pensa come noi. Siamo tutti “personaggi” unici, tutti in cerca d’autore.
Uno dei migliori regali che abbia ricevuto mi riporta all’infanzia, all’età di sei anni quando, sapendo già leggere e scrivere, avendo iniziato la scuola a cinque anni, un’amica di famiglia e vicina di casa, per la festa della Befana mi regalò un libro: Le avventure di Pinocchio.
La cara signorina si chiamava Andreina, era una donna bella, non più giovane ed insegnava alle scuole elementari. Di lei ricordo il bel sorriso, la stola di volpe che le avvolgeva il collo in inverno, ammiravo la sua eleganza e rimanevo sempre attratto dal profumo di mughetto, che lasciava una scia inconfondibile per le scale, abitando lei al piano superiore al mio.
Quel libro fu uno dei migliori regali che abbia mai ricevuto, per vari motivi: all’epoca (tanti anni fa) non c’era l’abbondanza di pubblicazioni di oggi, il libro conteneva tante illustrazioni che mi aiutavano a fantasticare mentre mi compenetravo nei personaggi immaginando le varie scene. Non c’era ancora la tv e quindi gli stimoli esterni erano veramente pochi. Ovviamente lo posseggo ancora, è quello nella foto. Aggiungo per curiosità che all’epoca il libro, di 110 pagine, costò 150 lire, l’equivalente di 8 centesimi di euro di oggi.